Bendtner è stato l'ultimo, Mendieta il più pagato, ma è l'Inter la vera regina di Bidonville.
Giocatori che arrivano, giocatori che partono, porte sempre aperte al Grand Hotel della Serie A, nonostante negli ultimi anni più che Grand Hotel il nostro campionato assomigli più che altro ad un due stelle. Poco importa. È il calciomercato, bellezza.
C’è chi punta su giocatori collaudati, chi scommette su giovani di belle speranze, chi cerca l’esotico. Chi trova il campione, chi si affida ad una rete di osservatori più o meno capillare, chi prova ad affidarsi sullo sconosciuto di qualità. C’è soprattutto chi ci azzecca pur cambiando poco, chi ci azzecca pur spendendo molto, chi azzecca qualcosa in una lista della spesa lunga come una litania, chi ci azzecca poco o nulla. E poi c’è chi si fa fregare. Ed ecco che entra in scena il bidone, lo spauracchio di ogni direttore sportivo, il punto d’unione tra calcio, sfottò e farsa comica.
Il bidone non è solo un calciatore, è un concetto. Qualcosa che può far piangere, se si è tifosi, qualcosa che può far ridere, se si è avversari. Comunque, vista da una parte o dall’altra, un qualcosa di indimenticabile cha ha due peculiarità che molto spesso vanno di pari passo: è straniero ed è costato molto.
La storia recente parla soprattutto di Bendtner. Il danese arriva alla Juventus dall’Arsenal dopo un buon Europeo condito da una doppietta al Portogallo. Per Marotta è il top player di ripiego dopo aver visto tramontare qualsiasi altra trattativa. Nick parla da attaccante di razza, promette gol e spettacolo. Poi arriva il campo ed è un’altra storia: 11 partite, 0 gol. L’unica nota positiva è che era in prestito. Discorso diverso per Matias Silvestre, costato all’Inter in totale 8 milioni (2 per il prestito, 6 per il riscatto obbligatorio) dopo due anni più che positivi tra Catania e Palermo, viene ricordato dai tifosi nerazzurri più che altro per gli svarioni difensivi. Ora Branca è al lavoro per trovargli una sistemazione perché Mazzarri non lo vuole nemmeno vedere.
Pochi soldi comunque rispetto al re dei bidoni: Gaizka Mendieta. Anno 2001. La Lazio lo acquista dal Valencia per 85 miliardi di Lire. Il basco, reduce da due ottime stagioni, con due finali di Champions consecutive ed entrambe perse, arriva con l’etichetta del campione. Si rivelò tutt’altro. Timido, impaurito, perennemente fuori posizione. Venti partite e 8 miliardi l’anno. Piuttosto di sbarazzarsene la dirigenza lo mandò prestito al Barcellona e poi al Middlesbrough.
Se a Formello piangono a Trigoria non ridono. Stagione 1998-1999, Zeman chiede un centravanti, vorrebbe Shevchenko, allora alla Dinamo Kiev, ma Sensi preferisce un brasiliano che segna a ripetizione in patria e si dice possa diventare più forte di Ronaldo. Era l’acquisto esotico giusto per pareggiare quello cileno della Lazio: Salas. Fabio Junior arriva nella Capitale per 30 miliardi rilasciando dichiarazioni da fenomeno. Verrà rispedito un anno dopo al mittente con l’etichetta del bidone dopo 16 partite, 4 gol e almeno un’ottantina di gol mangiati. Il boemo commenterà: “Non sa fare quasi niente e non aveva la minima voglia di imparare”. Quattro anni dopo la scena si ripete. Serve un nuovo Batistuta ed ecco arrivare un egiziano grande e grosso dal tiro al fulmicotone. Peccato che la porta la veda solo col binocolo. Ecco Mido, egiziano scuola Ajax, otto partite e zero gol in giallorosso. Se ne va in silenzio e nessuno lo ha mai rimpianto.
Ma è l’Inter di Massimo Moratti a poter vantare i pezzi pregiati, i colpi da novanta, di Bidonville. Il primo è Caio. Nell’estate 1995 arriva dal San Paolo con l’etichetta del ragazzo prodigio. Costo 7 miliardi, praticamente uno a presenza. I gol non si contano: zero. Anno nuovo, stessi errori. Per 17 miliardi Moratti strappa Ciriaco al Bayern. Nei piani di Hodgson doveva essere la luce del centrocampo. Dura un anno, poi viene svenduto al Kaiserslautern per 3 miliardi. Anno 2000. All’Inter serve un centrale difensivo. Moratti batte mezza Europa e va in Uruguay con 18 miliardi per prendere Sorondo. Per lui 11 presenze in due anni. Le disgrazie però arrivano sempre in coppia. Sempre nel 2000 e sempre dal Sud America alla corte di Lippi arriva “il più europeo dei brasiliani”, al secolo Marcos André Batista Santos. Vampeta per tutti. Visione di gioco, dribbling, tiro. Questo almeno dicono tutti alla presentazione. Trenta miliardi spesi e una sola presenza in campionato, ma sempre presente nei bar del centro, dove era amatissimo. Poi ci furono Hakan Sukur, Domoraud, Brechet, Gresko, Coco, Van der Meyde, Solari e chi più ne ha più ne metta.
Capitolo a parte merita Quaresma, il miglior flop dopo il mitico Darko Pancev. Acquistato per 25 milioni di euro più Pelè dal Porto, con l’etichetta del fenomeno, gioca 13 partite nella sua prima stagione in nerazzurro, diventando famoso più per le sue inutili ‘trivele’ che per altro. Venne quasi regalato al Besiktas due anni dopo. Schelotto sembra essere il suo erede.
Al Milan invece ricordano Luther Blissett. Centravanti inglese di origini giamaicane venne pagato 1 milione di sterline nel 1983 (un sacco di soldi) e registrò in rossonero 30 presenze, 5 gol e un centinaio di gol sbagliati. Poi arrivò l’epoca degli olandesi. Dopo i fasti del trio Rijkaard-Gullit-Van Basten ecco quella Reiziger-Bogarde-Kluivert. Zeru tituli e tutti allontanati neppure fossero degli appestati. Poi l’epoca ispanica. Josè Mari-Josè Moreno-Pablo Garcia (uruguayano). Anch’essi rispediti all’estero senza colpo ferire. L’ultimo è Traorè, centrocampista immobile del Milan di Allegri. Una pippa clamorosa.
L’ultimo ricordo lo merita il primo bidone della storia italiana recente. Nel 1980 riaprono le frontiere e la Pistoiese, allora in A, punta tutto su un brasiliano: Luis Silvio. Fabbri, l’allenatore di allora, lo guarda al primo allenamento e si chiede chi fosse "quel cameriere". Quando gli risposero che era lui l'attaccante brasiliano tanto sbandierato, si grattò la testa e laconico asserì: “perfetto, siamo spacciati”. Per lui due scampoli di partite e sette chili in più: tutti di pizza.
Ora una domanda: chi sarà il prossimo?