Prima del gallese altri grandi campioni, da Meazza a Seedorf, sono passati dalle magliette sudate ad un posto tecnico senza passare per patentini e corsi di formazioni. Con alterne fortune.
Ryan Giggs per la prima volta entra all’Old Trafford non in calzoncini e maglietta numero 11, ma con indosso i panni pesanti dell’allenatore. Dal campo alla panchina solo andata. La scelta del Manchester United di affidarsi all’esterno gallese per il dopo Moyses, va nella direzione di una nuova fergusonizzazione del club. Ad affiancare il neo tecnico infatti ci saranno altri due Ferguson boys, ovvero Paul Scholes e Nicky Butt.
Come Giggs anche altri giocatori sono passati direttamente, senza passare per corsi o anni sabbatici dal terreno di gioco al ruolo di allenatore. L’ultimo caso, pochi mesi fa, è quello di Clarence Seedorf, richiamato al Milan, per sedersi sulla panchina dal Brasile, dove era andato a chiudere la carriera al Botafogo. Un altro ex rossonero, l’inverno scorso aveva fatto il grande salto: Gennaro Gattuso al Sion, in Svizzera.
Il primo caso della storia calcistica è quello di Virginio Fossati, classe 1889, centromediano e allenatore dell'Inter fino al 1915, quando parte per il fronte, dove morirà nel 1918. Tempi lontani, nei quali gli allenatori erano ancora considerati figure marginali, poco utili. Ai tempi era il gruppo che doveva autogestirsi e autoallenarsi. Ben più clamoroso fu invece il passaggio di Giuseppe Meazza sulla panchina dell’Inter. Era la stagione 1946/47, mancavano 19 gare al termine del campionato e i nerazzurri erano in piena zona retrocessione, non vincevano da oltre due mesi e tutto sembrava volgere al peggio. Il presidente Masseroni affida al Pepin il ruolo di giocatore-allenatore in coppia con Nino Nutrizio, che da giornalista si trasforma in direttore tecnico: l’attaccante era in sovrappeso, con il fiato corto, ma pur sempre il migliore con la palla. Gioca poco, ma segna quando serve e centra l'obiettivo.
Un ventennio dopo sempre Inter. Helenio Herrera, lascia partire Armando Picchi direzione Varese. Dopo due mesi si pentirà, parte per la città a nord di Milano e prova a convincere l’ex capitano a tornare. Un secco no però lo farà ritornare indietro a mani vuote. Picchi resta a Varese e nel 1969 assume il doppio ruolo di allenatore-giocatore. Il Varese sembra spacciato, ultimissimo, ma con Picchi in panchina di anima, fa una rincorsa incredibile, ma fallisce l’obbiettivo per un sol punto. Dall’altro lato del Lago Maggiore, a Verbania debutta come allenatore-giocatore Osvaldo Bagnoli, che nel 1985 vincerà lo scudetto con il Verona. Nel 1969, a 34 anni, quando già medita di smettere con il calcio e di impiegarsi alla Mondadori, viene acquistato dal Verbania, dove però si infortuna quasi subito. In attesa di guarire comincia a fare l'osservatore e l'anno dopo, Franco Pedroni, l'uomo che aveva scoperto Rivera, lo vuole al suo fianco, come giocatore-allenatore. “Ma lo feci per una sola stagione, perché preferivo giocare”.
Lasciando i campi della Serie A per ritornare oltre Manica, la formula del giocatore-allenatore va molto più di moda (e da sempre). Negli anni novanta due campioni hanno seguito questa strada. Il primo: Ruud Gullit. Gioca nel Chelsea, ma viene chiamato anche ad allenare a metà della stagione 1996-97, quando i dirigenti lo “obbligano”, in quanto il più carismatico, a prendere il posto di Glenn Hoddle, anche lui passato nel 1993 dal campo direttamente alla panchina del Leicester. Parte forte, e vince subito la Coppa d'Inghilterra, ma viene a sua volta esonerato il 12 febbraio 1998, quando al suo posto viene scelto un altro attaccante del Chelsea: Gianluca Vialli, che conquista subito Coppa di Lega e Coppa delle Coppe (battendo in finale il Vicenza). Gioca un'altra stagione e vince Supercoppa europea (1-0 al Real) e Coppa d'Inghilterra, arrivando terzo in campionato, ad appena quattro punti dal Manchester United. Quando il Chelsea vince il Charity Shield nell'agosto 1999, quinto trofeo in meno di tre anni, Vialli ha già deciso di smettere di giocare, ma nonostante questo, viene esonerato dopo cinque partite, anche per i contrasti con lo zoccolo duro della squadra, leggasi Zola e Deschamps.