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15.10
Calcio: Gigi Meroni il pittore prestato al calcio

il 15 ottobre 1967 moriva 'Calimero', uno dei calciatori più amati nella storia del Torino. Anticonformista e ribelle fece impazzire il tifo granata. Per Pasolini fu "la cosa più bella vista in uno stadio".



Ci sono giorni che hanno un sapore speciale, che si ricordano anche a decenni di distanza per un motivo o per l’altro. Il 15 ottobre per i tifosi del Torino è uno di questi giorni. Il sapore è amaro, un rimpianto che non si è mai estinto. Il 15 ottobre per i tifosi del Torino e anche per tutti quelli che dicono di amare il calcio ha un nome: Luigi Meroni.

Professione ala destra - Luigi era solo all’anagrafe, per tutti era Gigi, per i tifosi del Toro, ‘calimero’, al massimo ‘farfallino’, per qualcuno ‘il George Best italiano’, ‘il beat’, ‘il quinto Beatles’. Volava sulla destra, un dribbling dietro l’altro, una magia continua, scatti e progressioni e quel tocco di palla al velluto che contraddistingue il campione dal buon giocatore. La maglia era quella granata, il numero il 7, i paragoni, per ruolo e classe, quelli con George Best.  Con il nordirlandese, l’ala comasca, condivideva anche quell’anticonformismo, quella voglia di stupire, quell’anticipare i tempi che divennero parte della loro icona. Cappelloni entrambi, calzini abbassati alla Sivori, amanti del colpo ad effetto, della giocata. Pennellate che però non si limitavano al campo quelle di Gigi, ma che riproponeva anche a casa, nella sua mansarda di Piazza Vittorio, dove portava avanti la sua grande passione: la pittura.

Addio Gigì – A fermare Gigi fu una Fiat 124 coupé. Quel 15 ottobre 1967 era domenica, il Torino aveva appena vinto 4-2 contro la Samp, Fabrizio Poletti, suo grande amico e compagno di squadra lo convince a scendere al loro bar per una birra e per una chiamata a casa. Meroni scende, i due attraversano metà carreggiata, si fermano al centro, una macchina li sfiora a grande velocità, la schivano, loro fanno un passo indietro. L’ala viene investita, viene sbalzato in aria e poi travolto da una Lancia Appia. Il difensore viene solo colpito lievemente. Alla guida c’era un diciannovenne neopatentato, c’era Attilio Romero, tifoso granata, futuro presidente del Torino. Gigi muore poche ore dopo. Torino si stringe attorno alla squadra, ventimila persone lo salutano per l’ultima volta a pochi giorni dal derby. La domenica successiva i granata scendono in campo con la rabbia e la morte nel cuore rifilano un 4-0 alla Vecchi Signora in un Comunale in religioso silenzio.

Un campione indimenticato – “Meroni è stato la luce, la luce dopo Superga, la cosa più bella che abbia mai visto in uno stadio” scrisse Pasolini in un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera. E ancora oggi il tifo granata lo commemora, ne preserva la memoria, perché “quello scricciolo d’uomo che correva e dribblava e faceva innamorare sulla destra è parte integrante dell’amore per il Torino, ne è vanto e dolore, ne è immagine e tragedia, pezzo di storia e esemplificazione di cosa è il colore granata per il mondo del calcio”. O così almeno recitava una lettera di un tifoso del Toro adirato per la decisione della società di non commemorare l’anniversario della morte del giocatore qualche anno fa.





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